L'interoperabilità è cruciale per la trasformazione digitale della PA. La Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), concepita per connettere sistemi informativi e banche dati, sta agendo come catalizzatore: oltre 7.300 Comuni hanno aderito, spesso con il supporto dei fondi PNRR. Nonostante l'alta adesione, la vera "trasformazione" non è ancora matura. La pubblicazione dei servizi procede a rilento: solo circa 2.500 Comuni hanno messo a disposizione più di un servizio e appena 1.000 più di due. Similmente, l'utilizzo dei dati non è decollato come previsto. Ad esempio, sebbene 6.300 Comuni usino il sistema obbligatorio SEND per i contratti pubblici, solo un migliaio sfrutta i servizi dell'ANPR (Anagrafe Nazionale Popolazione Residente) e pochissimi (73) quelli relativi all'ISEE. L'integrazione dei dati tra Comuni o con le Regioni rimane un'eccezione.
Come sottolineato da Luigi Zanella, per completare l'interoperabilità non bastano le piattaforme tecnologiche; è essenziale sviluppare una cultura della data governance. L'ostacolo principale è dunque di natura culturale, non solo tecnologica. È fondamentale aiutare i Comuni a riconoscere il valore dei propri dati e dello scambio con altri enti. Questo perché l'integrazione dei dati non è un semplice aggiornamento tecnico, ma modifica e semplifica i processi operativi interni e il modo di lavorare delle persone.
Ma come far decollare, dunque, l'interoperabilità? Cosa prevedono le normative? E qual è il ruolo della standardizzazione? Quali strumenti sono già disponibili in CiviliaNext per favorire l'interoperabilità?